Di morte e d’amore: intervista a Stefania Crepaldi
Stefania è una amica di lunga data e abbiamo deciso di intervistarla in relazione al suo romanzo “Di morte e d’amore”. Grazie a questa intervista abbiamo avuto anche una specie di anteprima sui suoi progetti futuro. Ecco che cosa ci ha raccontato.
Di morte e d’amore: il romanzo di Stefania Crepaldi
Ciao, Stefania, e grazie di aver accettato di farti intervistare per il nostro blog.
Tu sei un’editor molto conosciuta e, dopo aver pubblicato un interessante manuale sulle tecniche della scrittura creativa, quest’anno hai pubblicato un romanzo, dopo essere stata scelta nel 2020 tra i 10 vincitori del concorso Io scrittore.
«Ciao a tutti e grazie mille per aver scelto di dedicarmi tempo e spazio sul vostro blog.»
Quanto è importante per la tua professione di editor il fatto di aver scritto un romanzo, sia dal punto di vista della tua professionalità nei confronti degli autori con cui collabori sia per quanto riguarda l’empatia che puoi sviluppare con loro?
«Ho cercato di comunicare per dieci anni, e ritengo che il concetto che sto per esprimere sia ancora del tutto valido, che un editor non debba essere per forza anche uno scrittore o una scrittrice per aumentare il suo valore tecnico e formativo. Quasi sono stata convinta del contrario per tantissimo tempo.
Un editor è soprattutto un lettore esperto che parte da una passione sfrenata per le parole, con la cieca convinzione che la letteratura, i romanzi e le belle storie possano cambiare il mondo, accrescendo empatia e senso umano nel prossimo.
Quindi un editor deve sviluppare competenze tecniche e competenze umane. Diciamo che prima di scrivere il romanzo non avevo compreso fino in fondo quali fossero i blocchi emotivi che potevano bussare alla porta di uno scrittore in piena fase creativa.
Adesso che ho provato sulla mia pelle quanta introspezione, e quanto ascolto di sé siano necessari per scrivere una storia, sono molto più comprensiva e individuo meglio il disagio dello scrittore che seguo, aiutandolo a superare il famoso blocco dello scrittore.»
Il tuo romanzo ha già avuto successo, in quanto è stato scelto dai votanti del torneo Io Scrittore tanto che è stato pubblicato dal gruppo Gems. Secondo te, qual è il segreto del successo? Quali sono gli aspetti che hanno colpito di più i lettori?
«Penso di aver semplicemente creato un personaggio nuovo, curioso, a cui nessuno aveva ancora dato una forma compiuta in un romanzo. Le storie che ci attirano sono rassicuranti e originali allo stesso tempo.
Fortunata è solo una ragazza alla ricerca della sua forma di felicità, che lotta contro i pregiudizi e le aspettative altrui, come tante. Ma Fortunata svolge anche un lavoro particolare e quel suo maneggiare con maestria la morte rende originale la sua sfida personale rispetto a tante altre.»
Per un’editor come te immagino che sia stata una sfida impegnativa quella di proporti anche come autrice, anche esponendoti alle critiche. Come vivi questa condizione?
«Il romanzo è uscito il 24 marzo. Il giorno dopo ho avuto un gravissimo problema di salute che non si è ancora del tutto risolto. Non racconto questo per pietà, ma per far capire che avevo paure molto radicate che sono state spazzate via da una condizione personale seria. Immagino che vedere le cose nella giusta prospettiva sia una forma di felicità, o almeno di evoluzione personale.
Penso che non si possa piacere a tutti, e molte delle critiche che mi sono state fatte, alcune feroci, provengono da scrittori che ho scelto di non seguire, scrittori frustrati che non hanno accettato delle osservazioni sui loro romanzi e persone a cui non piaccio per il solo fatto che esisto, anche se non mi conoscono di persona. Immagino faccia parte del gioco. Se criticano in modo feroce Jane Austen… magari dovrei sentirmi lusingata di aver ricevuto quasi lo stesso trattamento.»
Veniamo al romanzo: la figura della tanatoesteta è senza dubbio molto originale, e dà vita a uno dei fili conduttori del romanzo. La protagonista, infatti, vive un conflitto tra la sua professione, appunto la tanatoesteta, e quella che vorrebbe far diventare la sua professione, ovvero la pasticcera. Come è nata l’idea di mettere al centro del tuo romanzo una professione così particolare?
«Devo raccontare un fatto privato, da cui ha avuto origine il romanzo. Nel 2018 ho partorito il mio primo figlio e ho provato per la prima volta, sulla mia pelle, la paura di morire. Penso sia una delle sensazioni che accumuna milioni di donne nel mondo impegnate a dare alla luce un neonato.
Quella paura è rimasta lì, in attesa di essere elaborata. Un giorno mi sono detta che mi sarebbe piaciuto parlare di morte, di amore e di vita. E chi, se non una persona che maneggia la morte tutti i giorni, può sconfiggere la paura della morte? Così ho pensato a chi davvero ha a che fare con la morte tutti i giorni, anche più volte al giorno, e mi è venuta in mente una signora che conosco che di mestiere fa la tanatoesteta. Il resto è venuto da sé.»
Fortunata, la protagonista, si porta dietro una nomea che sembra ostacolarla nelle scelte professionali, un destino che può capire meglio chi vive in provincia e conosce l’effetto devastante della maldicenza e della superstizione. Credi anche tu che sia un tema ancora attuale, molto più di quello che si potrebbe pensare?
«Oh, eccome. Ovviamente nel romanzo, per esigenze narrative, ho dovuto estremizzare alcune situazioni. Però… quando frequentavo le medie nel paese da cui provengo (3800 anime) tra le studentesse c’era la figlia del becchino. Il padre la accompagnava a scuola con il carro funebre. Secondo te quanti amici aveva?»
Chioggia entra nel romanzo come un vero e proprio personaggio che conduce il lettore tra le strade e lo guida lungo il dipanarsi della storia. Penso si possa dire che la territorialità ha un richiamo molto forte, sia nel dialetto che ogni tanto usi per caratterizzare i personaggi sia nei caratteri stessi. Da cosa nasce tutto ciò? C’è forse anche un forte amore per la tua terra?
«Chioggia è una città meravigliosa a pochissimi chilometri da dove abito. La conoscono in molti per lo splendido e immortale tributo di Goldoni. Negli anni, come luogo narrativo, ha perso smalto, ed è un vero peccato, perché contiene una serie di anime diverse che si fondono tra di loro senza nuocere alle altre: è una città di porto, di scambi commerciali, di diversità che si incontrano; è una città d’arte, con alcuni scorci di una bellezza quasi dolorosa; è bella come Venezia ma è la parte popolana, di terra, della città madre, a cui ha fatto (e fa ancora) da costola.
Insomma, un mondo narrativo pronto per essere inserito in una storia senza dover nemmeno faticare troppo, glorificando i suoi abitanti, che sono poliedrici e fantastici, dal pescatore al borghese con un palazzo settecentesco come umile dimora.»
A nostro giudizio, i tuoi personaggi sono particolarmente riusciti: penso a Fortunata ma anche Vito Sabelli, entrambi rappresentativi della loro terra e personaggi a tutto tondo, con pregi e difetti. Come hai costruito il loro caratteri?
«Ti ringrazio davvero molto. Ho pensato moltissimo a quello che li avrebbe resi felici o infelici nel momento esatto dell’inizio del romanzo. Ho pensato ai loro conflitti, alle ferite ancora da sanare, ai desideri mai nemmeno espressi. Ho pensato ai loro limiti, agli ostacoli emotivi di cui avrebbero dovuto farsi carico lungo la narrazione.
Diciamo che le schede personaggio che ho progettato sono molto poco incentrate sulla fisicità e molto sull’emotività. Fortunata non mi assomiglia per niente, ma ho cercato il più possibile di mettermi nei suoi panni. Ed è attraverso il suo sguardo che Vito viene presentato ai lettori, quindi era centrale che io mi calassi del tutto in Fortunata più che nel misterioso pugliese per far funzionare la narrazione alla prima persona.»
L’impressione è che la storia in qualche modo debba continuare. Anche perché il sottotitolo parla della prima indagine di Fortunata. Che cosa hai in mente per il futuro?
«Sto iniziando a scrivere proprio in questi giorni la seconda avventura di Fortunata dopo una lunga fase di documentazione. Al momento hanno creduto in me e nel progetto un paio di persone. In realtà in me hanno creduto un sacco di persone, ma parlo di possibilità professionali future, in questo caso specifico.
La prima è Rita Vivian, della omonima agenzia letteraria, che ha scelto di rappresentarmi; la seconda è un direttore editoriale di una prestigiosa casa editrice, che vorrebbe dare a Fortunata la possibilità di uscire con la grande distribuzione.
Come sempre, in questi casi, è responsabilità di chi scrive cogliere o meno simili opportunità. Ci ho pensato a lungo e credo di voler provare a fare il salto e dare ancora spazio a Fortunata. Speriamo di aver preso la decisione giusta.»
Allora, ti aspettiamo presto in libreria per la seconda avventura di Fortunata. Grazie per aver partecipato a questa intervista e in bocca al lupo per la tua professione di editor e di scrittrice.
Chi è Stefania Crepaldi, autrice di “Di morte e d’amore”
Stefania Crepaldi è una delle editor di narrativa più note e apprezzate d’Italia. Dirige l’agenzia editoriale Editor Romanzi ed è co-fondatrice della scuola di scrittura online LabScrittore. Nel suo percorso professionale ha seguito autori che hanno pubblicato romanzi con le più importanti case editrici italiane o che hanno raggiunto traguardi strepitosi con il self publishing (in Italia e negli USA). Ha scritto il libro “Lezioni di narrativa. Regole e tecniche per scrivere un romanzo” (Dino Audino Editore). Nel 2020 ha vinto il prestigioso torneo IoScrittore con il romanzo giallo “Di morte e d’amore“. Ha partecipato come relatore ai più noti eventi di settore del mondo editoriale.