Intervista a Simona Brancati
Ciao, Simona, e benvenuta su Libri Consigliati.
Prima di parlare del tuo libro, se ti fa piacere, vorrei farti qualche domanda su di te. Il tuo blog ci ha regalato energia e sensazioni positive. Pertanto, ci pare bello far sapere ai nostri lettori quello che ci ha colpiti.
Nella tua vita e nella tua carriera professionale ti sei occupata di molte cose, in un lungo percorso di evoluzione e crescita. Come tu stessa dici, un eclettismo professionale e formativo che a volte ti è stato di ostacolo, ma che si è anche realizzato in numerose passioni. Dietro a queste passioni c’è un filo conduttore. Vuoi parlarcene?
Certo e con piacere, mi piace condividere questo tema perché nel corso degli anni mi hanno scritto numerose donne per raccontarmi con un certo rammarico di non essere state capite o peggio ancora accettate, sia dalle persone vicine come familiari e amici sia all’interno delle strutture lavorative, per aver conseguito esperienze e studi molto diversi tra loro e apparentemente senza un filo conduttore. Come se in assenza di un’etichetta che ti identifica e qualifica in modo chiaro tu sfuggissi al controllo degli altri, e quindi al riconoscimento. E’ un tema insomma che varrebbe la pena di mettere sotto i riflettori come stiamo facendo per altre questioni che riguardano la discriminazione culturale verso le donne. Ricordo di aver fatto colloqui di lavoro dove mi veniva criticato il curriculum vitae ricco di lavori e di studi che c’azzeccavano poco tra di loro. Chi mi esaminava, che era sempre un uomo manco a farlo apposta (!), mi faceva apparire incoerente o incostante. Sono certa che mentre l’eclettismo di un uomo venga considerato normale e quindi nemmeno tanto sottolineato, a una donna non viene perdonato perché esce fuori dagli schemi culturali; chissà, forse sotto sotto si sa che le donne riescono a fare più cose e a farle pure bene e la cosa fa rosicare! Comunque, certamente questi atteggiamenti non hanno favorito la mia sicurezza psicologica e professionale ma sono andata avanti e ho sempre fatto di testa mia, anche se con tante difficoltà e pochi supporti. Ho sempre creduto che per diventare persone felici e realizzate sia fondamentale usare la vita e tutto ciò che ci offre per fare tante cose nelle quali esprimere tutto il potenziale che abbiamo dentro. E’ questo alla fine lo scopo ultimo di ognuno di noi. La curiosità e gli interessi sono la bussola a cui affidarci per imparare a conoscerci e a riconoscere i nostri talenti. La buona notizia è che non c’è una data di scadenza in questo viaggio, puoi farlo fino a quando respiri, in un continuo cambiamento. Per rispondere alla tua domanda, da cui forse mi sono allontanata, il filo conduttore che ho tratto da tutte le mie esperienze eclettiche è appunto la visione della vita che ho appena descritto e che mi fa essere più serena di un tempo. Sono sempre stata alla ricerca della migliore espressione di me seguendo la passione che mi bolliva dentro in un determinato periodo della mia vita. Ho iniziato come giornalista perché era quello che sentivo di voler fare da adolescente leggendo Oriana Fallaci, poi ho proseguito dando voce alla passione per il cinema e alla criminologia anch’esse coltivate da ragazzina. Sono stata insegnante, esperienza che mi ha portato poi a interessarmi di crescita personale per intraprendere gli studi di counseling e delle relazioni d’aiuto. Poi con l’avanzare dell’età ho iniziato a interessarmi di benessere psico-fisico partendo da me. Guardando indietro comprendo che ogni studio ed esperienza lavorativa è stata propedeutica per quella successiva. Oggi ho un bagaglio di “attrezzi” da tirar fuori in diverse circostanze e la libertà garantita da un’età anagrafica che non teme più ostacoli né etichette!
Il tuo blog si rivolge alle donne over anta. Oggi la società tende a rivalutare le donne non più giovanissime, ma non tutti la pensano così. Come mai la tua scelta di dedicarti a questo pubblico tramite il tuo blog, i social, i tuoi podcast e i tuoi corsi?
Diciamo che è stata una scelta sentita sulla pelle e affrontata per necessità visto che oggi ho 54 anni (!), poi però c’ho preso gusto perché sono molti gli argini da abbattere su questo fronte e quindi è una bella sfida. Nel momento in cui superi gli-anta inizi a sentire le prime differenze, soprattutto dopo i 45 anni, ci sono i primi cambiamenti che non sono solo fisici, ma non ne hai una vera consapevolezza perché la mia generazione di baby boomers non è stata educata a parlarne, ma nemmeno a saperne di più per affrontarli e risolverli nei tempi giusti. Quando ho aperto il blog nel 2020, durante il lock down, il mio obiettivo era di offrire alle over 50 consigli, ispirazioni e strategie su cinque temi: il benessere psicofisico, lo stile di vita, la moda green e consapevole, la lotta all’ageismo e la sostenibilità come difesa e tutela dell’ambiente e degli animali. In quel periodo mi sono resa conto che i like diminuivano quando affrontavo certi temi scomodi e impopolari come la menopausa ad esempio. La cosa oggi mi fa sorridere perché dopo solo tre anni adesso sui social e nelle pubblicità si parla di menopausa in modo spigliato, e se si diventa rosse è per la caldana e non per il pudore. I social hanno contribuito a sdoganare concetti come longevity lifestyle e positive aging che promuovono la filosofia dell’invecchiamento positivo e di uno stile di vita orientato alla cura di sè per entrambi i sessi, ma c’è ancora moltissimo da fare. Gli esempi reali di influencer marketing per over 50 e 60 sono più forti in paesi come la Francia e la Germania che stanno cavalcando già da tempo questa fetta di mercato che rappresenta la terza economia globale in termini di acquisti, mentre in Italia brand e agenzie pubblicitarie stentano a fare davvero il salto culturale. Siamo ancora legati allo stereotipo della vecchiaia come declino e mancanze cognitive, fisiche o sessuali. Ma chi ci crede più? La realtà ci dimostra il contrario, le perennials hanno un’attitudine mentale aperta e senza età, mantengono viva la curiosità e l’ambizione, si affidano al cambiamento e sanno reinventarsi. Da tempo scrivo articoli su questo. Il mio sogno è che brand e agenzie di comunicazione inizino a dialogare meglio e in modo più autentico con gli over50 attraverso gli over50, quindi con modelli e modelle adeguati al target, e con soluzioni che potenziano e valorizzano gli aspetti positivi di questo nuovo periodo di vita anziché fossilizzarsi su farmaci, dentiere e assorbenti. La considero una battaglia dovuta, non solo per la qualità di vita di noi senior ma anche per spianare la strada alle giovani donne di oggi che saranno le over di domani.
La tua crescita personale si accompagna al tuo crescente interesse verso il benessere fisico e psichico, la salute e l’ambiente. Allo stesso modo, la tua passione verso lo yoga e il pilates si evolve verso l’amore per la bellezza, che può concretizzarsi nella natura, nell’arte, nella musica, nella moda. Moda, of course, sostenibile. Come si sono realizzati questi step?
Anche questo interesse è partito come tutte le altre passioni da un bisogno personale e da un momento di vita parecchio critico. Intorno ai 39 anni ho iniziato ad avere diversi disturbi causati da un altissimo stress nervoso. Mi sono sempre interessata alle filosofie orientali e alle discipline olistiche, ma in quel momento urgeva fare qualcosa di più articolato e soprattutto occuparmi del mio corpo che avevo abbandonato a se stesso e che era il primo a risentire di uno stile di vita non più adeguato. Così dopo tanta formazione diciamo di tipo intellettuale, ho deciso di iniziare un altro tipo di percorso in cui il corpo veniva messo al centro dell’attenzione e dell’ascolto. Nell’estate del 2010 mi sono iscritta a una formazione per diventare insegnante di Pilates e ho scoperto un mondo non solo fuori ma anche dentro di me. Subito dopo mi sono iscritta alla scuola triennale di counseling e ho iniziato a studiare e a praticare diverse discipline tra cui lo yoga per imparare a conoscere le potenzialità del corpo non tanto in termini di acrobazie (non sono proprio predisposta!), quanto piuttosto di auto guarigione e di forza in grado di influenzare la mente, il pensiero e il punto di vista sul mondo. Da quel momento ho aperto un’associazione sportiva per dedicarmi al benessere psicofisico soprattutto delle donne over40 con le quali abbiamo condiviso i cambiamenti, le noie ma anche gli aspetti positivi di questa età. Una volta che inizi ad occuparti di te e del tuo benessere in modo più centrato, a cercare uno stile di vita che risponda maggiormente alle tue nuove esigenze, il passo per dedicarti all’ambiente, alle pratiche green e alla tutela degli animali è breve. Quando rallenti o ti pigli una pausa dalla vita frenetica, la tua sensibilità ne risente e si aprono nuovi canali. A 50 anni le passioni per gli animali e per la moda sono emerse in modo più proattivo. La moda, declinata in chiave over 50 naturalmente, ha assunto subito sfumature green, perché dopo essere stata vittima del fast fashion e aver approfondito il tema ho capito che era necessario rivedere i miei acquisti in modo più consapevole. Voglio portare avanti la comunicazione per sensibilizzare la mia generazione da una parte sull’importanza di adottare una maggiore attenzione alle etichette, ai tessuti e alla sostenibilità di ciò che s’indossa senza rinunciare allo stile, dall’altra sulla difesa e tutela degli animali e dell’ambiente partendo da piccole azioni quotidiane. Nel mio piccolo ho adottato due gatti e un cane, sono esseri meravigliosi che sono in grado di tirare fuori il meglio di me non solo nelle azioni ma anche e soprattutto nelle idee e nei pensieri che riescono a ispirarmi!
Passando al tuo romanzo, Il cuore nel cervello è la storia di una giornalista che vive il proprio cambiamento personale attraverso i cambiamenti nella società. Il titolo pare un ossimoro: perché l’hai scelto e che cosa nasconde?
Questo titolo è stato addirittura una terza opzione che non avevo preso davvero sul serio perché è una frase che spesso ho detto a me stessa nei periodi in cui andavo troppo veloce, mentalizzavo troppo o viceversa mi buttavo nelle cose senza ascoltarmi. La ripetevo come un mantra, come un obiettivo inarrivabile. Credo che un cuore senza cervello, così come un cervello senza cuore siano fasi di vita normali ma anche caotici e alienanti, che vanno superati a favore di un’integrazione che ti fa funzionare meglio. Insomma, quando sei in bolla le probabilità che le scelte che fai siano le migliori per te è sicuramente più alta. Mettere il cuore nel cervello significa quindi addentrarsi in una fase di equilibrio e maturità, agire con tutti i sensi e le facoltà pienamente operative e in connessione con te stessa, senza indugiare troppo né sulla sfera emotiva né su quella razionale. Che poi è quello che cerca di fare la protagonista del romanzo, alienata dentro una vita che ha scelto ma che non le appartiene. Prima di pubblicare il romanzo lo feci leggere a diverse persone e questo fu il titolo più gettonato, anche se io avrei optato per altro, per fortuna ho dato retta a loro perché mi sembra dalle reazioni che ricevo che sia un titolo azzeccato e di grande impatto. Alla fine, come spesso succede, è il pubblico e il lettore ad avere sempre ragione.
La donna raffigurata in copertina guarda la realtà attraverso le proprie dita e allo stesso tempo nasconde gran parte del volto. Volto che poi è rappresentato quattro volte con quattro colori diversi, con un riferimento, nemmeno troppo velato, alla pop art. Insomma, in una sola copertina ci sono numerosissimi concetti. Vuoi raccontarci i motivi di questa scelta?
C’erano tre elementi che volevo fossero raffigurati a livello simbolico e intuitivo in copertina. Il primo erano i colori che sono molto importanti per me, li amo tantissimo, ed è anche il parametro con cui ho suddiviso i capitoli del romanzo. Ho sempre dato un colore ai miei periodi di vita, perché ho un rapporto vitale con loro, nel romanzo ho preso ispirazione dai colori bizzarri che aveva coniato per i suoi abiti Maria Antonietta regina di Francia. La seconda caratteristica che la copertina doveva riflettere era l’incapacità della protagonista di vedere cioè di comprendere una realtà in rapido cambiamento nei suoi usi e costumi, durante il passaggio al terzo millennio. Ma esprime anche la sua volontà di sparire per proteggersi dal cambiamento, di avere un basso profilo e di rinunciare alla propria voce quando decide di diventare una ghost writer, quindi una scrittrice fantasma. Il terzo elemento era l’idea del fumetto, del reality, di una quotidianità distopica dove fatti e persone improbabili occupano le giornate della protagonista che sembrano replicarsi uguali a se stesse da un’esperienza all’altra. Ringrazio di cuore Sara P Grey per aver saputo sintetizzare e tradurre in un progetto grafico tutto quello che mi frullava in testa.
Nel 2004 hai pubblicato un saggio Il cinema di Quentin Tarantino che ha riscosso un notevole successo: ha vinto il Premio del Club Letterario Italiano ed è stato tradotto anche per gli Stati Uniti. Nel 2020 un saggio, questa volta sul pilates, intitolato appunto Allenamento Pilates. Che cosa ti ha portata a scrivere un romanzo e che cosa ti aspetti da questa esperienza?
La monografia su Tarantino è stato il mio primo lavoro come autrice, ci sono particolarmente legata, mi ha dato molte soddisfazioni anche perché è uscito nel pieno della ripresa della carriera del regista che ho avuto occasione di incontrare al Festival di Venezia di quell’anno. Il manuale di Pilates è stato invece suggerito dalle mie allieve che volevano una guida per allenarsi in poco tempo ma in modo mirato, così ho creato dei programmi base con sequenze di esercizi per obiettivi diversi. Il romanzo invece ha avuto una lunghissima gestazione. L’ho iniziato nel 2007, in un periodo in cui avevo dei sassolini da levarmi dalle scarpe ed ero entrata in crisi con la professione giornalistica. Tutte emozioni piuttosto forti che mi hanno influenzata nel raccontare questa storia usando la prima persona pur essendo un romanzo. Poi l’ho abbandonato l’anno dopo, poi l’ho ripreso per revisionarlo e l’ho lasciato perdere di nuovo. Aspettavo il momento giusto per finirlo che non arrivava mai perché nel frattempo mi ero impegnata in qualche nuova avventura che mi distoglieva dalla sua cura. Un giorno di non molti mesi fa mi sono accorta che in realtà era già finito e andava bene così come era. Nello stesso tempo mi sono accorta che anche io andavo bene così, e che quella ricerca di perfezione e del momento giusto per fare le cose forse non mi serviva più. Pubblicarlo perciò è stato una liberazione, come aver messo la prima parola su un foglio bianco per scrivere un nuovo capitolo della mia vita. Sono pronta per nuove esperienze e nuovi progetti!
Nel tuo blog ti rivolgi alle over anta. Il tuo romanzo a che pubblico pensi che sia dedicato? Hai immaginato quale potrebbe essere la tua lettrice o il tuo lettore ideale?
Sì certo, l’ho immaginato. Provenendo dal giornalismo mi riesce difficile scrivere senza avere in mente con chi voglio comunicare. L’ho definito un romanzo vintage, anche un po’ nostalgico, perché essendo ambientato a cavallo tra la fine degli anni ’90 e il 2000 risente dei fatti e dei modi di vivere di quel periodo. Ovviamente essendo un romanzo di narrativa il pubblico è vasto in teoria, ma sulla carta credo che tutti coloro che fanno parte delle cosiddette generazioni X e baby boomers possano avere piacere e curiosità nel leggerlo. Chi ha vissuto quel momento storico del passaggio al terzo millennio da adulto non avrà difficoltà a riattivare i propri ricordi, a immedesimarsi nei riferimenti, nell’incredulità e nelle riflessioni che la protagonista riporta nei confronti dei cambiamenti storici e dei costumi iniziati proprio con la rivoluzione globale. Poi, come sempre accade quando c’è una protagonista femminile, credo che la donna sia particolarmente adatta a identificarsi in certe riflessioni e nel dialogo interiore di Sam, soprattutto se ha fatto scelte di vita simili, un po’ opprimenti e castranti per il proprio potenziale.
Che cos’è per te il successo? Che obiettivo vorresti che raggiungesse il tuo romanzo per poter dire: «Sì, è stato un successo!»?
Ho sempre considerato il successo come una perfetta sincronia di eventi ben allineati tra loro che esprimono la conseguenza e il risultato di un’azione efficace. Tra le varie formule che lo spiegano quella che sintetizza meglio il mio pensiero è l’abilità di far accadere una serie di cose. Nel caso di questo romanzo, senza false mistificazioni, potrei considerarlo un grande successo se realizzo tutti gli obiettivi che mi sono ripromessa: innanzitutto, vincere il primo premio o piazzarmi tra i cinque finalisti nel concorso #amazonstoryteller2023, aprire un dialogo con i lettori per condividere riflessioni e punti di vista attraverso le recensioni, le interviste e le presentazioni dal vivo, pubblicare il romanzo in diverse lingue all’estero e realizzare la sua trasposizione al cinema. Chiedo troppo?
Grazie, Simona, conoscerti è stato un vero piacere. Se c’è altro che vuoi aggiungere, è il momento di farlo qua sotto. A presto e in bocca al lupo per il tuo romanzo e per la tua, o meglio le tue, attività.
Sì vorrei utilizzare lo spazio che mi avete concesso, di cui ringrazio moltissimo te per la bella intervista e la redazione, per fare due appelli. Il primo si rivolge ai brand di moda sostenibile, ai quali chiedo collaborazione per sviluppare progetti rivolti alle over 50 destinati a sensibilizzare a una consapevolezza diversa di ciò che si indossa. Il secondo riguarda gli animali, se qualcuno sta lavorando alla costruzione di rifugi o santuari o a progetti speciali per la loro tutela, mi contatti. Grazie.
Sinossi di IL CUORE NEL CERVELLO di Simona Brancati
“Samanta Rei, sono giornalista free lance. Ma preferisco Sam; Sam e basta.” Sam si muove come dentro un reality tra i personaggi, gli eventi e i disagi che segnano profondi cambiamenti nella società e nei rapporti interpersonali nel periodo a cavallo tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio. Il suo è un viaggio distopico, rocambolesco a ritroso nei propri ricordi dolorosi ma anche surreali e tragicomici che coincide con l’ultimo incarico professionale da ghost writer: un libro che la costringe a confrontarsi con se stessa e con la propria voce rinnegata.
Chi è Simona Brancati
Simona Brancati. Genova, classe ’68. Dopo la laurea in lettere moderne consegue un master in ufficio stampa, un perfezionamento in scienze criminologiche e un diploma in sceneggiatura. Lavora fino al 2001 come giornalista specializzata in cinema, industria e turismo economico, per alcuni anni è anche docente di cinema negli istituti pubblici e privati.
Collabora alla stesura di diversi soggetti per cortometraggi e partecipa ai set di alcune produzioni cinematografiche come segretaria di produzione. Nel 2004 pubblica la prima edizione del saggio “Il cinema di Quentin Tarantino” con Pericle Tangerine, che vince il premio per la saggistica contemporanea del Club Letterario Italiano, a cui seguono altre tre edizioni con Le Mani e un’altra tradotta negli Stati Uniti da New Academy Publishing. Per quest’ultime realizza un Bookstage e un Booktrailer che vince alcuni premi nei festival di settore. Dal 2010 è insegnante di yoga e pilates, counselor e formatrice nei settori benessere e sicurezza del lavoro.
Nel 2020 pubblica su Amazon il manuale illustrato “Allenamento Pilates”. Ѐ animalista, cura un podcast e un blog dedicati alle donne over 50 in cui scrive di mindset, stile e stili di vita proaging e moda sostenibile.
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