Quando troveremo lo schwa nei libri?
La domanda è chiaramente provocatoria e non per niente abbiamo scelto di porla all’indomani della bocciatura, o almeno così si dice, da parte dell’Accademia della Crusca.
Eppure chiedersi quando inizieremo a trovare lo schwa nei libri non sembra una domanda fuori luogo tanto da avere già anche una risposta.
Già, perché a dispetto di ciò che ha dichiarato il linguista Paolo D’Achille a nome dell’ente più autorevole in materia di lingua e linguistica, in realtà una casa editrice che utilizza lo schwa nei libri esiste già .
Ma andiamo con ordine, per non creare confusione ma, anzi, per cercare di chiarire.
Che cos’è lo schwa e quando si usa
Lo schwa non è una invenzione recente ma è un suono presente in molte lingue, tanto da avere un simbolo preciso e da essere inserito nell’alfabeto fonetico internazionale. Schwa è un termine tedesco, derivato dall’ebraico shĕwā שווא, e significa insignificante, nullo, proprio com’è il suo suono.
Si tratta di un suono centrale, non accentato, che si pronuncia con tutte le muscolature della bocca a riposo, tanto che viene considerato una vocale indistinta. È un suono presente in alcuni dialetti italiani, specialmente del sud ma anche in piemontese, e in molte lingue europee.
In inglese è una delle pronunce più frequenti, ma anche in tedesco e in francese sono molto numerose le vocali con il suono schwa.
Il suo simbolo è una e rovesciata: /ə/.
L’uso dello schwa per chi non si sente rappresentato da maschile e femminile
Negli ultimi mesi la questione schwa ha tenuto banco, soprattutto in certi ambiti. In italiano, infatti, l’assenza di un genere neutro e l’utilizzo del maschile sovraesteso ha iniziato a creare difficoltà a chi non si sente rappresentato dalla lingua.
Si tratta, certo, di chi non si riconosce come binario, ma anche di quelle donne che non amano essere definite con una terminologia che risente di un maschilismo atavico.
Se sono state percorse numerose vie, dall’asterisco alla desinenza in -u fino all’underscore, lo schwa sembra rappresentare un buon compromesso, soprattutto perché consente di avere un suono preciso che le altre alternative non hanno.
La bocciatura dell’Accademia della Crusca
Eppure, proprio alcuni giorni fa l’Accademia della Crusca ha freddato gli entusiasmi, pronunciandosi contro l’introduzione dello schwa nella lingua italiana.
Il linguista Paolo D’Achille ha dichiarato «Non esistendo lo schwa nel repertorio dell’italiano standard, non vediamo alcun motivo per introdurlo. […] L’italiano ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, ma non il neutro. Dobbiamo serenamente prenderne atto, consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale».
Dello stesso parere Roberta D’Alessandro, professoressa di Sintassi e Variazione linguistica presso l’Università di Utrecht: «È sbagliato pensare che si tratti di un cambiamento in atto – aggiunge – si tratta di educazione linguistica, esattamente come quella che ci indica di segnare l’accento sulla è. L’accento sulla è, così come lo schwa, non sono parte della lingua: sono convenzioni ortografiche. Sbagliatissimo considerarle parte della lingua. La lingua è parlata e decisa dall’uso dei parlanti, non può mai essere imposta, e soprattutto deve essere acquisibile dai bambini che imparano. Una regola come quella dello schwa, nel sistema italiano che marca il genere binario e ha il maschile di default (cioè lo usa nei verbi impersonali o in quelli meteorologici) non è acquisibile. Ergo: occorre un esame di introduzione alla linguistica obbligatorio per tutti.»
Schwa nei libri: per qualcuno è già realtà
C’è però chi la pensa diversamente. Vera Gheno, sociolinguista dell’Università di Firenze, che a lungo ha collaborato proprio con l’Accademia della Crusca, fin dai primi tempi in cui si parlava dell’introduzione dello schwa nella nostra lingua ha specificato che non si tratta di una imposizione dall’alto nella grammatica, semmai di una sperimentazione.
Come lei stessa spiega, lo schwa non è la soluzione di tutti i problemi. Per molte persone rappresenterebbe comunque una difficoltà: non tutti sono nelle condizioni di utilizzarlo correttamente, molti potrebbero non capire.
Ma ciò non toglie che possa valere la pena di sperimentare, di provare almeno in alcuni contesti ad utilizzarlo.
È quello che ha fatto il Comune di Castelfranco Emilia che ha deciso di usarla nella sua comunicazione social o la casa editrice Effequ che per prima ha portato lo schwa nei libri. Solo nei saggi, non nella narrativa, perché ha ritenuto che in questo settore potesse essere accettato.
Insomma, con moderazione e buon senso, lo schwa potrebbe entrare nei libri molto prima di quello che pensiamo. E voi, che cosa ne pensate?