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Polvere d’azzurro: intervista a Marina Innorta

Cara Marina, per molti di noi tu sei la signora de La rana bollita. Il tuo nome e il tuo libro sono molto conosciuti tra chi soffre d’ansia e di attacchi di panico. Con la tua opera autobiografica hai avuto un grandissimo successo. Che impressione ti fa pensare che le tue vicende hanno aiutato tantissime persone che soffrono di ansia?

«Una strana impressione devo dire. In tutta sincerità, quando ho scritto La rana bollita, non pensavo di scrivere un libro per aiutare altre persone. Avevo bisogno di spiegarmi, di raccontare com’è vivere con un disturbo d’ansia, è stato questo bisogno di esprimermi a fare da molla. Credo che per molte persone leggere questo libro abbia significato sentirsi riconosciute, in questo senso è stato di aiuto: spesso chi soffre di ansia si sente solo e poco compreso perché si tratta di un disturbo che viene facilmente sottovalutato e anche un po’ stigmatizzato purtroppo. Io avrei voluto leggerlo un libro così quando ho cominciato a stare male. Non c’era, e allora l’ho scritto io.»

Molto spesso si sente dire che raccontare, e raccontarsi, è un’ottima terapia quando si soffre di disturbi d’ansia. Quanto scrivere La rana bollita ti ha aiutata a superare le tue difficoltà?

«Molto. Mi è servito a rielaborare quello che mi era successo. In quel libro ci ho messo tutto quello che so su come si affronta un problema di ansia. Per molto tempo ne ho tenuta una copia sul comodino, pensando che quando avessi avuto altri momenti brutti dovevo solo rileggermi per ritrovare la strada. E poi mi ha aiutato a smettere di vergognarmi del mio problema. La salute mentale è ancora un tabù, io per molto tempo mi sono nascosta, non volevo che gli altri conoscessero esattamente i motivi delle mie difficoltà. Scrivendo quel libro, e pubblicandolo, ho smesso di nascondermi ed è stato un sollievo.»

Uno degli aspetti che ho apprezzato maggiormente ne La rana bollita è la tua capacità narrativa. Pur essendo un racconto autobiografico tematizzato sull’ansia, è molto piacevole da leggere. A ciò si aggiunge il fatto che l’ansia è un argomento, passami il termine, molto di moda perché, bene o male, le persone che soffrono d’ansia sono sempre più numerose. Secondo te quale di questi elementi spiega meglio il segreto del tuo successo?

«Io credo tutti e due. C’era bisogno di un libro così, che parlasse di questo problema “dal basso”, dal punto di vista di una paziente. Ci sono tanti libri scritti da psicologi e altri esperti, ma la condivisione di una esperienza vissuta direttamente è ha un impatto diverso . Però avere vissuto una esperienza è una cosa, saperla raccontare è un’altra. Diverse persone hanno trovato il libro interessante e piacevole da leggere anche se non erano particolarmente interessate al tema. E questo ovviamente è importante, significa che il libro funziona. Non conta solo quello che hai da dire, anche come lo dici ha la sua importanza.» 

Il tuo nuovo romanzo, Polvere d’azzurro, racconta di una donna alla ricerca del proprio passato e delle proprie radici. Anche in questo caso l’ansia è un elemento caratterizzante del personaggio, ma questa volta non è il centro della narrazione. Stephen King diceva: «scrivi di ciò che conosci» e tu l’hai fatto, sfruttando un disturbo che conosci bene per dare senso alla narrazione. Usare questa caratterizzazione ti ha permesso di immedesimarti meglio nel personaggio?

«Sì, senz’altro. Nel primo libro che ho scritto (La rana bollita) il personaggio principale ero io, non ho dovuto fare nessuna fatica nel crearlo. Volendo poi scrivere un romanzo mi è venuto istintivo creare una protagonista che mi somigliasse in alcuni aspetti. È una scelta che rende le cose più facili, ma ha anche alcune insidie. In ogni caso, per me aveva un senso preciso fare questa scelta: volevo una protagonista ansiosa, ma non volevo che l’ansia fosse il centro della storia. Noi non siamo la nostra ansia, siamo persone con l’ansia, sembra una differenza sottile ma non lo è. Soffrire di ansia non può diventare un tratto identitario, credo che non faccia bene. E questa idea l’ho trasposta nel romanzo: Margherita, la protagonista, è una persona che soffre di ansia, ma la sua vita non si riduce a questo, l’ansia è solo uno degli elementi della sua storia, e nemmeno tra i più importanti.»

Un aspetto centrale del tuo romanzo è, invece, la storia dell’arte, che dimostra una conoscenza approfondita dell’argomento. Come mai ti sei occupata di questo tema? È frutto di conoscenze che già avevi o hai dovuto documentarti?

«L’arte mi piace, ma non sono un’esperta. Mi sono documentata, sia prima che durante la stesura. È una cosa che mi piace molto. So che ci sono autori che odiano doversi documentare e cercano di ridurre al minimo questa parte del lavoro. Nel mio caso invece documentarmi fa proprio parte del processo creativo. L’idea generale del romanzo l’ho avuta a prescindere, ma i dettagli, alcune svolte narrative e alcuni dei personaggi, sono venuti fuori proprio mentre studiavo. La realtà è molto più ricca e affascinante della nostra fantasia: la documentazione mette dei paletti a quello che puoi o non puoi scrivere, ma è proprio da questi paletti che escono le soluzioni più belle. Almeno, a me succede così. »

Nel tuo romanzo i riferimenti storici sono molto frequenti ed importanti e danno luogo a una narrazione verosimile. Per chi non avesse ancora letto il libro, possiamo anticipare che il racconto delle vicende della protagonista si alterna alle lettere scritte dal suo avo, Bernardino, e contribuiscono a costruire alcuni tasselli della storia, che troveranno completezza solo alla fine. Come hai costruito tutta la vicenda di Bernardino? È frutto unicamente della tua fantasia oppure nel carteggio tra Bernardino e Pieter Grimmer c’è qualcosa di reale?

«Il personaggio di Bernardino ha avuto una genesi un po’ particolare: non doveva essere lui il protagonista della parte storica, bensì sua madre Camilla. La storia di Camilla poi ho deciso di raccontarla a parte, in un altro romanzo; volevo però che ci fosse ugualmente questo controcanto storico, e quindi è nato Bernardino. La sua vicenda – e il carteggio con il suo maestro – me la sono inventata, non c’è niente di completamente vero, ma molte cose sono verosimili, come hai osservato giustamente anche tu. Il contesto storico in cui si muove Bernardino invece è reale, e alcuni dei personaggi che vengono citati sono davvero esistiti, così come sono davvero esistiti pittori fiamminghi che venivano a studiare in Italia. Ho letto molto materiale scritto nel millecinquecento: lettere, novelle, biografie. Così ho costruito il personaggio e la sua storia.»

Polvere di azzurro ha il pregio di presentarsi quasi come un giallo, in cui la ricostruzione storica diventa il mistero da scoprire. Ho apprezzato molto la struttura narrativa, che tiene costantemente sulla corda il lettore aggiungendo con il giusto ritmo gli indizi. Oggi sono sempre più numerosi i sostenitori dell’importanza di preparare a tavolino, prima ancora di iniziare a scrivere, lo schema narrativo. Altri invece sono maggiormente favorevoli alla scrittura di getto, che, secondo la loro opinione, non imprigionerebbe la creatività. Tu come hai organizzato il tuo lavoro da questo punto di vista?

«Io non scrivo quasi mai di getto, l’idea per me deve essere arrivata a un certo grado di maturazione prima di cominciare a scrivere. A maggior ragione in un romanzo come questo in cui alla fine devi fare combaciare tutti i dettagli e dare al lettore una soluzione che sia stata ben “seminata” in precedenza. Però non è nemmeno vero che quando ho cominciato a scrivere avevo già tutto chiaro. Avevo un canovaccio, una struttura, ma poi l’ho riempita scrivendo e soprattutto riscrivendo. Il risultato finale è frutto di diverse revisioni, che, soprattutto all’inizio, sono quasi delle riscritture totali. Per me la prima stesura è poco più di una bozza, mi serve solo per avere un capo e una coda, ma poi il vero lavoro lo faccio dopo, ed è stato durante le riscritture che piano piano tutti gli indizi sono stati messi al posto giusto.»  

La rana bollita, dopo il successo della pubblicazione in self, è approdato ad una importante casa editrice e presto la rivedremo nelle librerie. Polvere d’azzurro è il tuo primo romanzo e mi pare di poter dire che sta raccogliendo molti apprezzamenti tra chi l’ha letto. Quali sono i tuoi progetti letterari per il futuro?

«Polvere d’azzurro – immagino l’avrai notato – lascia in sospeso alcuni dettagli della vicenda di Bernardino, che saranno chiariti nel prossimo libro. Sarà un romanzo storico, ambientato attorno al 1540, una specie di prequel diciamo. Mi piacerebbe farlo uscire la prossima estate, ma vediamo, non sono particolarmente veloce a scrivere e il lavoro da fare è tanto. Quindi adesso sto lavorando a questo. La rana bollita, è un libro fortunato, e io spero che in questa seconda edizione – che uscirà per Sonzogno nei primi mesi del 2022 – potrà fare ancora altra strada. Credo però che sia un libro a sé, non penso che abbia senso cercare di proporne altri sulla stessa scia. Adesso c’è molto la tendenza a scrivere di sé, in modo più o meno mascherato, io però credo che per quanto mi riguarda un libro autobiografico sia più che sufficiente, almeno per il momento.»  


Chi è Marina Innorta

Marina Innorta è nata a Perugia e vive a Bologna. Nel 2017 è uscito il suo primo libro – La rana bollita – nel quale ha raccontato, con stile semplice ma preciso, di come si convive con i disturbi d’ansia e di panico. A seguire ha scritto una serie di tre Quaderni di esercizi, mettendo assieme le sue migliori idee per un percorso di fioritura personale basato su consapevolezza, accettazione e azione.
Nel 2021 ha pubblicato il suo primo romanzo – Polvere d’azzurro – al quale fanno da sfondo alcune delle tematiche dei suoi lavori precedenti, ma stavolta all’interno di un’opera di fiction, con una protagonista ansiosa che si trova alle prese con un giallo storico che coinvolge la sua famiglia e il suo passato.
Dal 2014 cura il blog (mywayblog.it) che è il cuore delle sue attività online, con una newsletter mensile che conta oltre quattromila iscritti.